Domande e risposte

Domande e risposte


In questa intervista tratta dalla diretta RVS dell’ 1 marzo 2023, ascoltiamo il pastore avventista Michele Abiusi.

Tra i temi toccati: la Chiesa dell’Altrove di Beppe Grillo; gli avvocati di Dio e le troppe risposte dogmatiche; la vera risposta di Dio in Gesù Cristo.

Matrimonio per tutti

Matrimonio per tutti

Caro Messaggero,

il bell’articolo di Raffaele Battista circa la possibilità per coppie omossessuali di adottare un bambino ha suscitato in me dapprima approvazione piena, con il passare del tempo sono affiorate alcune riflessioni che mi piacerebbe condividere con i lettori.

Affrontare una tematica dal punto di vista ideale è doveroso, ma tutti noi sappiamo che i problemi non si risolvono solo con le riflessioni generali, per quanto acute e ben formulate possano essere. La vita ci insegna che spesso è necessario scendere a patti. L’ideale rimane distante, all’orizzonte.

Che sia giusto che tutti gli esseri umani mangino tre volte al giorno chi potrebbe negarlo, tendere verso il soddisfacimento globale è una sfida che deve coinvolgerci ma ci accontenteremmo, in una tappa parziale, che almeno la maggioranza di coloro che muoiono di fame possa sfamarsi comunque una volta al giorno (mentre noi che ragioniamo comodi sul divano continuiamo a lottare contro l’obesità).

Che sia equo che ogni individuo abiti in una casa confortevole chi lo metterebbe mai in discussione? Dopo una calamità o un terremoto, l’offerta di una tenda o di un container (pur non essendo in sé luoghi dignitosi) è sempre meglio che dormire all’addiaccio.

E così via, la fantasia nera non credo manchi a nessuno.

E allora, sul tema risolto da Hollande e sollevato da Raffaele: è preferibile un anonimo orfanotrofio a una famiglia, pur non ideale, che ama a modo suo? La strada, gli stenti e l’autogestione, sono forse la condizione ideale per una giovane vita che si affaccia all’esistenza?

Ma ancora: sfiora forse l’ideale una vita asettica, chiusa in un cubicolo di cemento armato, accompagnata dalla pervasiva presenza della tecnologia, per un bambino ricco, occidentale, i cui genitori etero lavorano tutto il santo giorno fuori casa per il necessario e il superfluo?

Rasenta forse l’ideale un’educazione parentale mononucleare, di stampo occidentale, senza che vi sia alcun allargamento alla famiglia più ampia (così come accadeva nella cultura rurale)? È più vicina all’ideale una famiglia etero nella quale non esiste l’armonia, dove la violenza regna indiscussa? Arrivando frettolosamente alla somma totale: è davvero così più pericolosa una formazione ai sentimenti svolta all’interno di una coppia omosessuale, rispetto non all’ideale genesiaco, ma alla cruda e nuda realtà così diffusa?

Il tema del «matri-monio» affrontato da Raffaele mi è parso senz’altro il più cogente per difendere la tesi dell’indiscutibile naturalità etero. Ma anche qui, si scusi l’enormità, mi pare possa trovare posto una verosimile disquisizione sull’impossibilità di esaurire il ruolo materno al semplice dato biologico. È davvero ‘madre’ colei che abbandona il figlio ancora avvolto nel cordone ombelicale in un cassonetto? Davanti a un monastero, a un convento? Nella toilette di un supermercato? Sul punto bisognerebbe probabilmente allargare e affrontare quali siano le ragioni di tale abbandono, le responsabilità di una società matrigna… ma la domanda che precede rimane comunque.

Da un punto di vista biologico, fisiologico, della tradizione umana e cristiana, la forza delle tesi di Raffaele è indiscutibile, inattaccabile. Da altri punti di vista, più terra terra se vogliamo, paiono scricchiolare, almeno un pochino.

Non si può che essere d’accordo sull’ideale, la realtà però è più complessa e a volte anche quello che pare un bene minore può essere considerato un diritto pieno, soprattutto per l’inerme sofferente.

Davide Mozzato, direttore del Campo Centro

I legami familiari di Gesù

I legami familiari di Gesù

Angel Manuel Rodriguez* – Domanda: I fratelli di Gesù citati nella Bibbia erano figli di Giuseppe e Maria?

Gesù aveva non solo dei fratelli, ma anche delle sorelle (Marco 6:3). Sappiamo i nomi dei fratelli – Giacomo, Giuseppe, Giuda e Simone (Matteo 13:55) – ma non i nomi delle sorelle. Poiché la parola «fratello» è a volte usata nella Scrittura per designare una persona diversa da quella nata dallo stesso padre e dalla stessa madre, varie sono le domande riguardo ai «fratelli» e alle «sorelle» di Gesù.
Il bisogno di avere un chiarimento diventa necessario nella tradizione cattolica a causa della fede nella verginità perpetua di Maria. Per noi si tratta di una questione storica, non teologica. Il dibattito risale alla metà del II secolo e non è stato ancora risolto in modo soddisfacente per tutti; gli stessi elementi forniti dalla Bibbia si prestano a diverse interpretazioni.

1. Figli di Giuseppe e Maria. Alcuni ritengono che questo sia l’insegnamento del Nuovo Testamento. Gesù è chiamato il primogenito di Maria (Luca 2:7), ed è detto che Giuseppe conobbe Maria, vale a dire che ebbe rapporti sessuali con lei, dopo la nascita di Gesù (Matteo 1:25). Pertanto, la conclusione più logica sembra essere che l’espressione «fratelli di Gesù» si riferisca ai figli di Giuseppe e Maria. Inoltre, non vi è alcuna chiara indicazione nei Vangeli che Giuseppe fosse vedovo prima di sposare Maria, o che avesse avuto figli da un matrimonio precedente.

2. Cugini di Gesù. Questa interpretazione si basa sul fatto che la parola «fratello» a volte potrebbe designare un parente stretto, un cugino. Tra le altre cose, questa teoria insegna che la mamma di Giacomo e di Giuseppe non era in realtà la madre di Gesù, bensì sua sorella Maria, moglie di Cleofa (Giovanni 19:25). Suo figlio Giacomo è lo stesso definito figlio di Alfeo, o Cleofa, in Marco 3:18. Chiaramente, ciò fa dei «fratelli di Gesù» dei suoi cugini. Questa teoria è alquanto improbabile visto l’alto livello di speculazione in essa contenuta e il fatto che non vi sia quasi alcuna prova dell’uso della parola «fratello» nel senso di «cugino».

3. Fratellastri di Gesù. Sono stati utilizzati molti argomenti per sostenere questa posizione.
In primo luogo, in nessuna parte del Nuovo Testamento i «fratelli di Gesù» sono chiamati esplicitamente «figli di Maria». Il passo che più si avvicina a questa idea è Matteo 13:55: « Non è questi il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?». Ma, poiché Gesù è l’unico chiamato specificamente figlio di Maria, si potrebbe sostenere che il testo implicitamente dica che Maria era la madre solo di Gesù, non dei suoi fratelli citati nel versetto. In secondo luogo, nella letteratura greca la parola «fratello» è usata per indicare un fratellastro; pertanto il termine stesso non è determinante per risolvere la questione.
In terzo luogo, la parola “primogenito” non significa che Maria ebbe altri figli. È usato in Luca 2:7 per preparare la strada alla consacrazione di Gesù al Signore come primogenito (versetto 23). Un’antica iscrizione ebraica racconta di una donna che morì dando alla luce il suo «primogenito». Quindi questo termine non può essere utilizzato per sostenere che Maria ebbe altri figli.
In quarto luogo, il fatto che Giuseppe non ha avuto rapporti sessuali con Maria fino a dopo la nascita di Gesù (Matteo 1:25) non significa necessariamente che lei avesse altri figli. Con questa precisazione Matteo voleva evidenziare la verginità di Maria quando ha dato alla luce Gesù.
In quinto luogo, il fatto che i «fratelli» di Gesù abbiano cercato più volte di controllarlo suggerisce la possibilità che essi fossero più grandi di lui. Nella famiglia ebraica i figli di maggiore età avevano autorità su quelli più giovani.
Infine, il fatto che mentre era sulla croce Gesù affidò sua madre a Giovanni implica che i «fratelli» di Gesù non fossero figli di Maria, altrimenti sarebbero stati loro a occuparsi di lei.

Anche se l’argomento è ancora oggetto di dibattito, sembra che la soluzione migliore sia l’ultima: i fratelli di Gesù erano i suoi fratellastri. La domanda ovvia è: “Perché il Signore chiuse il grembo di Maria? Questa è una questione teologica. La Bibbia non se ne occupa. Forse fu il tentativo di Dio di preservare l’unicità dell’esperienza di Maria come madre del Salvatore.
*Ex direttore dell’Istituto di ricerche bibliche della Conferenza Generale, attualmente in pensione.

I legami familiari di Gesù

Domande e risposte. Daniele era vegetariano?

Angel Manuel Rodríguez* – Permettetemi di affrontare la questione del contesto in Daniele 1:3-21, e nel fare ciò risponderò alla domanda specifica.

La caduta del regno di Giuda e la deportazione di molti Israeliti a Babilonia esposero la loro fede a nuove sfide. Erano in una terra con cultura e convinzioni religiose molto diverse. Era quindi difficoltoso per loro praticare la propria fede religiosa.

1. Assimilazione culturale. L’intento del re babilonese era quello di far scivolare lentamente la fedeltà dei giovani ebrei dal loro Dio ai suoi dei, quindi da Gerusalemme a Babilonia. Era questo l’obiettivo delle componenti professionali e psicologiche del programma di formazione di Daniele e dei suoi amici.

In primo luogo, il loro senso di autostima era stato potenziato facendoli andare nel palazzo reale ed entrando così a far parte dell’élite intellettuale. Questo potrebbe facilmente aver creato in essi un senso di accettazione in un paese straniero e di gratitudine verso il re perché si fidava di loro.

In secondo luogo, dovevano essere istruiti nelle lingue e letterature di Babilonia. Daniele forse parlava già diverse lingue, ma avrebbe dovuto imparare almeno l’aramaico e l’accadico per comunicare con gli altri e leggere la letteratura che si occupava di scienza (come matematica e astronomia), musica e religione (come mitologia, divinazione e astrologia), ed essere indottrinato sulla visione del mondo babilonese. Il resto del libro di Daniele dimostra che tale azione d’indottrinamento non ebbe successo. In terzo luogo, l’assimilazione culturale iniziò mutando l’identità dei quattro ebrei con nomi che includevano i nomi delle divinità babilonesi (Daniele 1:7). In questo modo, il loro impegno personale per il Signore era minacciato. È interessante notare che l’ortografia ebraica dei nomi babilonesi sembra aver intenzionalmente danneggiato i nomi originali, mostrando in questo modo la loro resistenza all’assimilazione culturale e religiosa.

2. Scelta dell’alimentazione. Il re aveva deciso la dieta di Daniele e dei suoi amici. Questo sarebbe stato considerato un privilegio e uno dei vantaggi che comportava il frequentare l’Università di Babilonia. Le pietanze erano fornite dal re. Sappiamo che i re babilonesi non solo provvedevano le razioni alimentari giornaliere ad alcuni dei loro ufficiali, ma anche le strutture abitative. Il testo biblico sembra suggerire che gli alimenti portati a Daniele e ai suoi amici facessero parte del cibo preparato per il re stesso: era quanto di meglio Babilonia potesse offrire. L’interesse principale del re era di assicurare che i giovani avessero un bell’aspetto ed eccellessero nella loro formazione. Ma considerando questa decisione da un punto di vista culturale, ci rendiamo conto che l’intenzione del re era più profonda: il cibo determina l’identità, ciò che mangiamo rivela la nostra cultura, anche le nostre convinzioni religiose. L’enfasi sul cibo faceva parte del tentativo culturale e religioso di assimilare gli ebrei alla religione e alla cultura babilonese.

3. Rifiuto della trasformazione culturale. Daniele “prese in cuor suo la decisione di non contaminarsi con i cibi del re e con il vino che il re beveva” (versetto 8). Nella decisione di Daniele furono coinvolte la volontà e la razionalità. Probabilmente essa era basata sul fatto che il cibo del re, prima di essere portato sulla tavola di Daniele, era stato offerto alle divinità babilonesi. Molto probabilmente questo cibo non era stato preparato secondo i dettami biblici (Lev. 17:10) e avrebbe incluso carni impure. Già questi di per sé sarebbero stati validi motivi per rifiutare il cibo del re, ma il fatto che Daniele scelse quest’occasione per praticare una dieta vegetariana suggerisce un problema più profondo. Il re si era assunto la responsabilità di “assegnare” (yeman) loro le vivande. La forma verbale usata qui è impiegata nell’Antico Testamento solo per l’attività di Dio (ad esempio in Salmi 16:5; 61:8; Giona 2:1), suggerendo che il re stava attribuendo a sé stesso una prerogativa divina. Per Daniele, solo il Signore poteva determinare che cosa avrebbe mangiato. Allora, egli tornò alla dieta originale che escludeva la carne (Gen. 1:29; 3,18) e ciò lo aiutò a essere obbediente al Signore. E il Signore ha benedetto il suo sforzo di servirlo. Quando è stato lui a decidere cosa mangiare, Daniele ha seguito le norme levitiche (Daniele 10:3).

Esiste ancora, anche per noi, la minaccia dell’assimilazione culturale. Come Daniele, dobbiamo resistere e mantenere saldi i valori, i principi e gli insegnamenti della Parola di Dio.

*Ex direttore dell’Istituto di ricerche bibliche della Conferenza Generale, attualmente in pensione.

I legami familiari di Gesù

Consacrazione donne pastore. Che cosa dice la Bibbia?

Angel Manuel Rodriguez*Domanda: Bibbia alla mano, possiamo sostenere la consacrazione delle donne al ministero pastorale o no?

Non risponderò alla domanda in modo diretto, ma vorrei commentare le ragioni per le quali la chiesa su questo argomento è divisa facendo due osservazioni preliminari.

– La chiesa non ha preso una posizione ufficiale sulla base di un’affermazione biblica (o in assenza di questa) per la consacrazione delle donne al ministero. È stato solo votato di non lasciare che la decisione sia regolata da ogni divisione, in quanto la decisione finale sarà a carico della chiesa mondiale.

– Questa problematica non è sorta a livello delle dottrine fondamentali. La consacrazione al ministero, nella chiesa apostolica, non era un banco di prova per la comunione cristiana. Sulla base di queste osservazioni, cerchiamo di capire le ragioni delle difficoltà attuali.

1. Teologi più aperti. Un notevole incoraggiamento per la consacrazione delle donne al ministero pastorale viene da un gruppo di teologi avventisti di stile più liberale. Nelle loro discussioni il testo biblico ha un determinato posto, ma la loro argomentazione deriva maggiormente da un aspetto sociologico e morale. Sono stati influenzati dalle teologhe femministe che hanno posto l’accetto sulle pari opportunità e sulla liberazione della donna da una società prevalentemente maschilista. Ai loro occhi, l’uguaglianza porta la consacrazione della donna al ministero al livello di un obbligo morale. Un’argomentazione così forte, proveniente da un gruppo che tra l’altro ha proposto anche una revisione delle dottrine fondamentali della chiesa, ha immediatamente suscitato una reazione contraria alla consacrazione delle donne.

2. Teologi convenzionali. Questi teologi sono pienamente dedicati al messaggio e alla missione della chiesa. Con sorpresa, però, sulla questione si sono divisi e lo sono tuttora. Qui la discussione principale riguarda l’interpretazione biblica. Alcuni teologi che non trovano un sostegno biblico per la consacrazione al femminile hanno cominciato a farsi sentire. Essi vorrebbero un chiaro «così dice il Signore», ma non lo hanno trovato. Altri invece pensano che abbiamo sufficienti nozioni bibliche a favore della consacrazione delle donne al ministero e anch’essi si fanno sentire. Chiedono agli oppositori se esiste un chiaro «così dice il Signore» per impedire questa pratica, e nessuno lo ha trovato. Entrambi i gruppi elaborano la difesa della loro causa soffermandosi su alcuni brani particolari. Il dibattito ruota intorno agli argomenti finché non escono fuori prove migliori. Spesso in simili dibattiti teologici si inserisce inevitabilmente anche un pizzico di orgoglio e così nessuno vuole mollare. Alcuni si ergono a difensori della Scrittura contro altri teologi che, credono, non sono fedeli alla Bibbia. E così il dibattito va avanti…

3. Avventisti iper-conservatori. Questo gruppo di credenti è fortemente influenzato da teologi conservatori che si oppongono alla consacrazione delle donne al ministero pastorale e considerano questa pratica come un fatto che si addice di più a una teologia liberale. Ovviamente dimenticano che ci sono dei teologi conservatori che sono a favore. Sono membri molto influenti che appoggiano i ministeri indipendenti, che a volte sono caratterizzati da un atteggiamento molto critico nei confronti della direzione della chiesa. Hanno la tendenza a considerare la consacrazione delle donne un potenziale atto di apostasia.

4. Idee culturali. Nel mondo, in molte nazioni, il ruolo della donna nella società è praticamente inesistente e l’idea di uguaglianza dei generi non sembra per nulla predominare. In simili ambienti culturali non è difficile per i dirigenti e per i membri di chiesa opporsi all’idea della consacrazione della donna pastore. Naturalmente queste persone si allineano con coloro che pensano che non esista alcuna base biblica per giustificare questa pratica.

Il dibattito tra i teologi indica che in questo caso la Bibbia non è così chiara come ci si aspetti. Entrambi i gruppi lo devono tenere a mente. Alcuni teologi hanno partecipato alla discussione con un atteggiamento molto dogmatico e si sono dimostrati incapaci di ascoltarsi l’un l’altro.  Forse è giunto il momento di riesaminare il problema con spirito di servizio alla chiesa in quanto corpo di Cristo, pregare per sanare nell’intento di capire dove ci vuole guidare lo Spirito Santo. Ciò richiederà umiltà e desiderio di lavorare insieme per l’edificazione della chiesa. [art. pubblicato su Adventist World, ottobre 2010, traduzione a cura della redazione, già pubblicato nel Ma_nov_2010 p. 26].

*Ex direttore dell’Istituto di ricerche bibliche della Conferenza Generale, attualmente in pensione.

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